FIGC : Addio a Pietruzzi, combattente d’altri tempi
L’ultima bandiera di quelle che furono le Grandi Alessandrie se n’è andata per sempre.
Addio, Mario Pietruzzi!
Non tutte le battaglie possono essere vinte: l’importante però, è combatterle. Il “Cavalluccio” lo sapeva bene e ha deciso di lottare senza arrendersi, fino alla fine, alla veneranda età di 96 anni, almeno gli ultimi cinque a lottare ad armi impari contro un nemico che sai già in partenza detenere una percentuale elevatissima, quasi totale, di vittoria: il declino fisico. Puoi solo fregarlo, ingannarlo, ritardare la sua avanzata. Puoi solo scegliere di vivere fino all’ultimo nel senso letterale della parola, e non di limitarti a “sopravvivere”. Poi però, quando quelle gambe che hanno percorso in lungo e in largo quasi tutti gli stadi d’Italia e quei muscoli che hanno saputo sfangare quel Moccagatta diventato famoso per il pantano, non funzionano più, è veramente giunta la fine.
Il calcio è stato la vita di Pietruzzi. Il più bel gol realizzato? Non ci sono dubbi, quello alla Juventus, che lasciò di stucco Sentimenti IV, 23 febbraio 1947.
Il capolavoro di un’intera carriera? Battere il Grande Torino di Valentino Mazzola per 2-0. Emozioni e brividi che ti rimangono per sempre dentro.
I ricordi. Sono proprio i ricordi di un’intera militanza dedicata ai Grigi ad aver dato a Pietruzzi la forza di andare avanti, perché lui in fondo ha vissuto il calcio come una missione di vita, come lo scopo principale del suo esistere. Me lo aveva detto chiaramente anche lo scorso mese di maggio, quando ero andato a Cascinagrossa a intervistarlo. Venne fuori un video che oggi è prezioso, è il testamento calcistico di un calciatore d’altri tempi.
Il proprio dovere, Mario l’ha sempre fatto: professionista dal 1938 al 1953, sempre conosciuto e apprezzato in giro per l’Italia con la fama del guerriero, con la tenacia di quelli che non mollano mai finché la maglia non è zuppa di sudore e terra.
Ha potuto collezionare 53 presenze e 4 gol in A. Con 283 gare in campionato è il terzo calciatore più presente in maglia grigia dopo Antonio Colombo e Renato Cattaneo.
Da allenatore dopo le fugaci esperienze al Derthona, alla Valenzana e all’Albese entrò stabilmente nello staff tecnico dell’Alessandria, seguendo soprattutto le giovanili e guidando a più riprese la prima squadra in serie C. Fu ancora lui a sedersi in panchina nelle ultime quattro giornate delcampionato 1973-‘74, già vinto da Dino Ballacci licenziato per contrasti con la presidenza di Paolo Sacco. Sono passati 40 anni, è stata l’ultima promozione in B dell’Alessandria.
Avrebbe potuto approdare in tante squadre ben più blasonate dei Grigi, ma lui ha sempre voluto rimanere fedele all’Orso Grigio. Un’ostinazione e un amore che lo hanno fatto entrare nei cuori e nelle menti dei tifosi, da sempre innamorati ed appassionati di questo tipo di calciatori.
Il calcio è storicamente monopolizzato dai fenomeni e dai campioni; da quei giocatori che accontentano i palati più fini, capaci di giocate improvvise ed impressionanti, dalla tecnica eccelsa ed il piede fatato. E poi ci sono solo loro, quelli come il “Cavalluccio”. Quelli che anziché far correre il pallone preferiscono correre loro, perché qualcuno in campo deve pur farlo, ed è inutile aspettarsi che lo facciano quelli di cui sopra. Dietro ad ogni campione dal piede fatato e dalla tecnica eccelsa, c’è sempre uno o più giocatori “alla Pietruzzi” che corrono anche per lui.
Che sudano, lottano e fomentano il pubblico combattendo battaglie, anche quelle più impossibili. Pietruzzi ne ha vinte tante, finché ha potuto. Oggi ha perso forse quella più importante, ma se l’è giocata. Come sempre, fino all’ultimo. Riposa in pace “Cavalluccio”!
Mario Bocchio
(nella foto Pietruzzi con il grande Silvio Piola)